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“Carissimo Babbo, la forza grande della natura sulla Terra è il calore solare”. A scrivere queste parole è un giovane studioso, Antonio Pacinotti, che a soli 24 anni è già considerato un astro nascente della fisica italiana. Sicuramente il suo genio fu tra i più precoci: già sei anni prima, nel 1859, mentre era sergente volontario durante la Seconda Guerra di Indipendenza, aveva sperimentato quella che aveva chiamato semplicemente macchinetta. Si trattava in realtà di un prototipo della dinamo, intuendo un principio che di lì a pochi anni avrebbe rivoluzionato completamente il modo di produrre energia.
A ricordarlo, oggi, una lapide collocata a San Martino della Battaglia sul luogo di una delle più importanti battaglie del Risorgimento Italiano. Qui dove l’esercito Piemontese sconfisse la potente armata austriaca e dove lo svizzero Henry Dunant diede vita al primo nucleo della Croce Rossa, cambiò anche la storia della scienza. L’anello di Pacinotti infatti consisteva in un anello rotante in campo magnetico che muovendosi generava corrente elettrica continua. Questo però aveva un’altra importante funzione: infatti oltre a produrre corrente, poteva funzionare anche in senso inverso, azionando il movimento della ruota attraverso la forza elettromotrice. In questo modo fissava anche il principio del motore elettrico.
Una scoperta rivoluzionaria che però a Pacinotti fu riconosciuta solo in parte. Infatti, la sua stessa invenzione, che non era ancora stata brevettata, fu presentata, perfezionata, dal fisico francese Gramme, che venne così ufficialmente indicato come l’inventore della dinamo. Il lavoro di Pacinotti fu riconosciuto solo più tardi e parzialmente, grazie all’intervento di alcuni grandi come Werner Siemens che attribuì al ricercatore italiano anche il merito di aver compreso le enormi potenziali applicazioni della “macchinetta”.
E il fotovoltaico? Anche in questo Pacinotti ebbe un ruolo importante, infatti a soli 22 anni fu tra i primi a studiare l’effetto fotoelettrico osservando come questo mutasse in base alla lunghezza d’onda delle diverse radiazioni. Le sue osservazioni furono raccolte in due articoli pubblicati nel 1863 e nel 1864 all’interno della rivista “Il Nuovo Cimento” con il titolo “Correnti elettriche generate dal calorico e dalla luce”.
Pacinotti era partito dalla fotografia, anch’essa in pieno sviluppo nel XIX secolo, per analizzare le proprietà chimiche della luce. Si convinse che "il massimo dell'azione calorifica fosse nel rosso dello spettro” mentre “il massimo di azione chimica comparisse invece nel violetto” come spiega il professor Cesare Silvi nella sua Storia dell’energia dal sole. Questo lo portò a interrogarsi sull’influenza della superficie delle lastre sulla corrente aprendo di fatto agli studi che nei decenni seguenti condussero alle celle solari.
Il contributo di Pacinotti al fotovoltaico venne raccolto dai fisici italiani, a cominciare da un suo allievo, Augusto Righi, che definì l’effetto fotoelettrico da cui partì lo stesso Albert Einstein per le ricerche che gli valsero il premio Nobel, come lui stesso spiegò durante la cerimonia di consegna del premio nel 1921. Antonio Pacinotti divenne professore universitario di Fisica, prima a Cagliari poi a Pisa, occupando la cattedra che era stata di suo padre. La sua vita fu segnata da grandi drammi - perse la prima moglie giovanissima durante il parto - e da grandi soddisfazioni, come la nomina a Senatore del Regno. Morì nel 1912: proprio in quegli anni si iniziava a parlare di "effetto fotovoltaico" per definire la corrente elettrica prodotta dalla luce, mettendo così a frutto molte delle sue intuizioni.
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